Il LXXIV Ciclo di Spettacoli Classici al Teatro Olimpico di Vicenza si è aperto con l’ Histoire du Soldat di Igor Stravinskij meravigliosamente messo in scena dal direttore artistico della rassegna Giancarlo Marinelli, interpretato da Drusilla Foer  nella parte della voce recitante e coi danzatori Giulia barbone e Antonio Balsamo nella parte del soldato, con la partecipazione e la coreografia di Andrè De La Roche e l’orchestra del Teatro Olimpico diretta dal M° Beatrice Venezi.

Drusilla ha una presenza scenica rara, non è solo il bianco della tunica fluttuante che indossa a far sì che si distingua anche dalle stesse luci e dal videomapping sulla scena dell’Olimpico, i gesti hanno una densità significativa che quasi rende fisiche le parole del testo. La molteplicità delle situazioni e dei personaggi che interpreta da sola con forza ma senza essere mai istrionica contribuiscono a mantenere l’equilibrio sempre barcollante di un’opera che forse può sembrare anche un po’ autocitazionista: scritta nel 1918, è quantomeno è riconoscibile come Stravinskiana perché il compositore aveva già realizzato tre balletti celeberrimi come L’uccello di Fuoco nel 1910, Petrushka nel 1911 e La Sagra della Pimavera nel 1913, tutti commissionatigli dall’impresario Sergej Diaghilev, vicino al quale vorrà poi essere sepolto al cimitero di San Michele a Venezia.

Lo spettacolo è densissimo di tutto, visività, suono, epoche storiche e carico biografico, tutto si intreccia tramite linguaggi artistici molto saldi e distinguibili nelle loro identità, senza commistioni: ogni cosa è al suo posto e si esprime per competenza, efficacia ed estetica dialogando perfettamente nella messa in atto di ogni singolo evento scenico e nel progresso della storia. Uno spettacolo fantastico, meraviglioso con artisti bellissimi ( perché quando si è in scena in circostanze rare come queste in cui tutto è perfetto, si va oltre la bravura).

Ho incontrato Drusilla, che ho avuto già il piacere di recensire nel 2011 quando ancora non era così famosa, prima ancora che Ozpeteck le affidasse quella parte stupenda in uno dei suoi film più belli, dedicato al teatro, “Magnifica Presenza” e con lei abbiamo parlato di questa bellissima esperienza teatrale qui all’Olimpico. Drusilla ha anche un libro in uscita con Mondadori dal titolo “Tu non conosci la vergogna”. ( Foto spettacolo di Roberto De Biasio) 

 

Un’opera di Stravinskij in cui tu fai la voce narrante, il bambino che si vede in scena rappresenta il regista da piccolo: tu sembri un po’ uno spirito guida, un po’ la mamma però anche un po’ la musa la custode di ciò che sarà lo svilupo artistico di questo bambino. Il modo in cui lui ti ha iconizzata ricorda la de Lempicka  anche un po’ l’estetica di Leni Riefensthal. Come vedi il tuo personaggio da fuori? Ti sei vista? Come hai costruito il tuo personaggio insieme a Marinelli?

Drusilla Foer: credo ci sia una proiezione molto creativa dentro perché, in realtà, quello che mi ha raccomandato Marinelli è di essere una figura narratrice che depone nelle mani di questo bambino queste immagini così potenti e così forti; come una mamma forse no, una bisnonna! Diciamo una parente, un personaggio come è stato per Marinelli sua madre che gli ha donato queste immagini. È difficile percepirsi in relazione all’immaginario di un m bambino perché i bambini sono troppo più potenti di noi, hanno una capacità inventiva e anche protettiva verso il proprio immaginario quindi non ho molto indagato su cosa immagini lui. Però quel bambino ho pensato proprio che fosse un signore come Marinelli, molto solido, molto formato, come ho detto in una intervista, che ha una direzione virile, nel senso però latino del termine, nel senso di  uomo, di potenza, quindi mi è piaciuto fare questa riduzione in scala emotiva che forse non è una riduzione ma una amplificazione da uomo così di talento, di sensibilità di potere, potere dico…

… capacità di messa in atto…

…Esattamente, sì, capacità di messa in atto, perfettamente  questo, capacità di azione e questo bambino così “secchino” così bellino mi è piaciuto tantissimo pensare che lui fosse l’altro e ho più visto delle cose di quel bambino in Marinelli che delle cose di Marinelli in quel bambino.

Ci sono dei punti del testo che tu sottolinei con la gestualità delle mani che mi sembrano un po’ dei gesti che vedevamo nelle nostre nonne. Forse il gesto si perde prima della lingua, mi sembra qualcosa di molto legato alla generazione…

…Certo, certo…

 …Quando dici: “è diventato ricco!” Fai un gesto della mano per enfatizzare, e mi sembra un po’ un gesto che è difficile da trovare oggi, forse ce l’hanno più le nostre mamme, le nostre nonne: è qualcosa che ti viene naturale o te lo ha suggerito Marinelli ?

No, quella è la mia gestualità: sono tanti gesti che ho visto, tante persone che ho incontrato forse anche nella mia infanzia, forse anche tanto cinema (sussurra)

Ecco qua il tema!

Tanto lo sapevo che volevi parare lì!

 Ci sono dei momenti che: la doppiatrice della Garbo, della Dietrich …

La Simoneschi, la Tina Lattanzi, queste voci schiacciate perché dovevano arrivare all’ultima fila:  erano tutte donne di teatro che venivano assunte al cinema. “La voce schacciata, no? Così, sul bracciolo, temo possa rompersi!” Erano voci da teatro.

 Anche quando fai la parte del Diavolo, nella voce narrante, lì ho detto: qui  è Carmelo Bene

Ehehe io l’ho ascoltato molto, per quello che mi è stato possibile, ho sempre molto amato  il lavoro che fa sul suono della parola ,prima del significato, dell’aspetto fonetico della parola

.. che è portatore di significato…

…Che è portatore di significato che è portatore di gesto, di emozione: il suono è un tappeto volante da dove si può anche cadere e battere belle boccate in terra, però è un tappeto volante che potenzialmente ti sposta dappertutto, il suono, no?

 Il teatro  oggi sembra che abbia meno capacità di creare iconicità, per quanto spettacoli come questi siano stupendi, non c’è più per esempio l’Espressionismo. Questo spettacolo è del 1918

Sì, lui in quel momento soffriva la fame e tutto il  resto c’è anche da dire che nonostante questa cosa sia fosse stata scritta per un teatrino itinerante durante la Guerra, quindi per intrattenere, lui non rinuncia al suo linguaggio abrasivo musicale, crudele, che però ogni tanto si illumina di qualche nota folk o rassicurante: una roba di una presunzione senza fine…

 …Era consapevole del suo talento…

…Esatto, o per lo meno di determinazione  verso l’uso di un suo linguaggio, che il linguaggio di Stravinsky è un linguaggio unico, come quello di Shakespeare, un tipo di linguaggio che contrappone questa crudeltà, questa ostilità compositiva a dei luoghi invece musicali un pochino più rassicuranti, a volte spiritosi anche, che acquistano valore ancora più drammatico  perché sono posizionati in un tappeto musicale.

Però non c’è, oggi…

…l’iconicità…

 …l’iconicità. Non c’è Brecht, un’estetica che dici: questa è l’epoca dell’Espressionismo, questo è il periodo di…

L’iconcità non si crea a tavolino: quegli anni lì erano anni in cui Cocteau incontrava Picasso che incontrava Diaghilev che incontrava Stravinskij che incontrava Nizhinskij, Chanel, Josephine Baker e la Revue Nègre che c’era a Parigi, Mirò, Satie erano amici, erano gli anni di Colette: era difficile non ispirarsi. L’iconicità di certe figure è un effetto, la causa è l’unicità. Non si può creare l’iconicità volontariamente. L’unica che forse un po’ ci è riuscita senza alcuno straccio di talento è stata Madonna, no? Che ha creato qualcosa che è al di sopra di lei, del suo talento al di sopra di quanto essa sia necessaria la sua arte, però si vede anche un po’ come si arrangia ultimamente  che …

…non è Lady Gaga…

…Non è Lady Gaga. Si vedrà. Quegli anni erano anni in cui un artista aveva tante chance per essere un grande artista e ispirarsi.