La commedia “Non c’è tempo amore”andata in scena questa settimana al Remondini di Bassano del Grappa è una commedia dolce-amara sull’amore e le coppie. La storia è molto semplice: due coppie con un triangolo anomalo. E già qui la struttura narrativa e scenica cominciano a prendere una forma insolita per il tipo di commedie alle quali siamo abituati ad assistere nella prosa di narrazione convenzionale. Lorenzo Gioielli  ha scritto questa commedia, la dirige e la interpreta nella parte di Edoardo, il medico che legge nel pensiero. La sua scrittura è modulare: in scena si vede tutto ciò che accade e queste “porzioni” di racconto si intersecano e si specchiano tra di loro. Le battute che gli attori si servono tra di loro non sono finalizzate a portare avanti un dialogo ma si sovrappongono e si sfumano tra esse come in una sorta di dissolvenza incrociata tra argomenti analoghi ma che in realtà tra di loro si sostengono tramite un equilibrio speculare e all’apparenza incongruente. Nell’intervista che segue ho analizzato insieme ad Amanda Sandrelli e a Lorenzo Gioielli i contenuti e la formalità dello spettacolo.

 

In questa commedia ci sono 4 protagonisti, la loro storia si interseca e anche se sembra che si vogliano slegare in realtà pare che le loro vite si intreccino sempre di più.  Quanto c’è delle dinamiche dei rapporti umani vissuti come li viviamo oggi, in questo testo?

Amanda Sandrelli: “La struttura del testo è semplice e complessa al tempo stesso: è una coppia con una dinamica abbastanza comune a tutte le coppie sposate da 20 anni, si abbaiano, sono un po’ violenti l’uno con l’altra ma poi non si lasciano perché in qualche modo si amano e hanno bisogno l’uno dell’altra. Ai due lati ci sono il miglior amico di lui e la miglior amica di lei, i quali, per una serie di cose curiose, diventano amanti dei due. La struttura è quasi antica, poi c’è una cosa di equivoci, loro scelgono dei nomi, un teatrino degli equivoci molto semplice e divertente, soprattutto nel  secondo  tempo, che vola, dove c’è il tirare le fila di quello che viene  seminato nel primo tempo . Si parla sicuramente d’amore, del tempo e, più che di una generazione come spesso hanno scritto, di un momento della vita: il passaggio da quando si è giovani a quando si è vecchi, che non sempre arriva in un modo così netto. Forse quello che contraddistingue la nostra generazione è che è stato meno netto di quelle precedenti, sicuramente meno di quelle della guerra perché con la guerra hai un passaggio talmente shockante che diventi adulto, i nostri nonni  erano già genitori a 20 anni. Mi rendo conto che noi, come prima generazione non educata in un modo rigido, mentre i nostri padri, tutti, avevano avuto un’ educazione rigida dalla quale poi si dovevano affrancare, le donne si sposavano per uscire di casa e gli uomini ci uscivano lavorando, per noi è tutto più sfumato: si studia, si prosegue e questo porta a non capire bene qual è il momento in cui realmente passi quell’ètà che non è diventare grandi ma diventare vecchio, cioè cominciare a sentire che il tempo ti sfugge. Penso che di questo si parli e la cosa che mi piace di più di questo spettacolo è che ha 1000 possibilità di lettura: ti diverti ma ci sono anche di momenti strani, malinconici, di commedia più dinamica, ti puoi fermare alla prima lettura ed è comunque uno spettacolo gradevole, più vai sotto più ce n’è. Quando c’è molto sottotesto ti disperdi in rivoli e, come diceva Scarpelli, se non riesci a raccontare la trama in 10 parole il film non funziona. Io sono un po’ d’accordo con questo, perché ci deve essere una storia che tutti possono seguire; però spesso, per fare questo, si semplifica a tal punto che alla 20esima o 40esima replica, cominci a non cavare più niente. Ieri sera abbiamo fatto una replica strana, più malinconica forse. Oggi incontravamo la gente che ci diceva meraviglie, non solo complimenti ma anche cose capite e colte, considerazioni: una signora ci ha detto che si è tanto commossa. In una commedia dove, soprattutto nel secondo tempo, appunto, non c’è tempo, ci sono anche dei momenti strani che se hai una sensibilità di un certo tipo magari ti tocca se non ce l’hai la vedi come una cosa strana ma non è che dici: “che palle!”. Questo è proprio il tipo di teatro che mi piace, un teatro che non sia esageratamente semplice, che non sottovaluti il pubblico, che non pensi che il pubblico deve solo ridere e divertirsi e, soprattutto, capire. Questa ansia di far capire fa sì che poi tu sia troppo didascalico. Invece io trovo che il teatro sia principalmente evocazione e atmosfera. Sono tante le cose che passano al pubblico, proprio perché accade lì, ogni sera è diverso, ognuno di noi si porta dietro tutto quello che ha pensato nella giornata precedente. Deve essere morbido. questo è forse il testo più morbido che abbia visto, che più è cambiato all’interno delle repliche. Lorenzo adesso sta interpretando il personaggio in modo diverso da come l’ha fatto, lui l’ha scritto e diretto eppure ha trovato un’altra via e tutti i personaggi hanno una cosa che forse si capisce dopo una certa età: tutto ciò che giudichi dall’esterno, i ruoli… il mio personaggio, Mariana, l’amante che non sta simpatica alle donne e tendiamo ad etichettarla come stronza soprattutto se è amica della moglie, smentisce e ribalta tutti gli assunti, non è in realtà quella forte che si approfitta ma quella più fragile, che ama di più e non può fare a meno dell’amore.”

 

La cosa che mi ha colpita di questo personaggio è che lei è l’amante, è felice così e non vuole nulla. È una contraddizione perché comunque chi ama vuole qualcosa, se non altro poter esprimere il suo sentimento.

A.S.: “Lei non vuole nulla perché, in realtà, non vorrebbe fare male a nessuno proprio per smentire quello che poi è l’assunto di base, nella vita, quando guardi quello che fanno gli altri: se uno fa una cosa è perché vuole farla e sa le conseguenze, ne è consapevole.  Non è così perché nella vita capita che ti innamori di uno sposato e l’ultima cosa che vuoi fare è rovinare una famiglia, ma ti ci trovi in mezzo perché l’amore non ha spiegazioni ed è qualcosa che quando accade smonta tutti i parametri che siamo abituati a guardare. In più, Marianna, come Edoardo dall’altra parte, sono i due borderline, stanno proprio a filo, sicuramente non stanno inseriti in una realtà.  Mariana fa la maestra, ha 40 anni, non è una ragazzina e non è vero che non vuole niente, lo racconta in uno dei momenti più strani dello spettacolo in cui incomincia a raccontar una favola ai bambini e poi, alla fine, si ritrova a raccontare una cosa a se stessa che la fa piangere. È quello che vorrebbero tutte le donne: un uomo che ti dice che non ti lascerà mai più. Io continuo a  pensare che sia così perché rivendico il diritto di credere a una cosa anche se so che non è vera. Per spiegarlo l’unico modo che ho trovato sono i bambini. Se i bambini prendono un orsetto, sanno perfettamente che non è vivo, ma se loro ti chiedono di lasciargli lo zaino aperto sennò non respira, se tu glielo chiudi, loro soffrono per l’orsacchiotto. Eppure sanno perfettamente che non è vero. Allora che cos’è vero? Quello che veramente è o quello che tu ritieni che sia vero? Per me è necessario credere che un amore sia eterno anche se so perfettamente che non lo è, che può succedere domani  qualcosa che smonta la nostra vita. So anche, e dopo questo spettacolo lo so un po’ meglio, che se succedesse non sarebbe per malafede o cattiveria di uno di noi, perché sono 1000 le cose che possono accadere nella vita e che la vita non va sempre dove vuoi tu ma dove vuole lei, spesso, e a volte se resisti troppo ancora di più. Tutto questo è raccontato con un’enorme profondità e ognuno può trovarci qualcosa che lo riguardi, che può fargli fare uno scattino in più, quello spostamento di sguardo che è così facile quando riguarda gli altri e così difficile quando riguarda noi. Penso che questa sia la dote più bella dello spettacolo.”

 

 

La storia sembra surreale a partire dal fatto che Edoardo, il medico, legge nel pensiero.  Questo espediente narrativo ha permesso delle variazioni o delle diverse interpretazioni?

A.S.:“Sì perché un po’ fa parte di quello che ti dicevo: se è vero o no, non si capisce nemmeno quando si esce dal teatro. Sicuramente lui crede di saperlo fare. Noi parliamo spesso al pubblico e ci sono delle cose tetralmente complesse, per noi molto complicate: parliamo incrociati, due dialoghi che si svolgono in luoghi diversi  si incrociano non casualmente e hanno un senso se li leghi. Tutto è riferito a quanto è stato detto prima anche se non si ascoltano. Quando Edoardo parla al pubblico, nell’inizio dello spettacolo: “io leggo nel pensiero. Sono un mostro? Sono un alieno? Sono un medico della mutua. A volte posso anche curarli ma fa male a me e a loro. Lui ha la sensazione di saperlo fare, quanto si a vero non è dato saperlo e ogni tanto ci sono delle cose che smentiscono e che lo fanno sembrare un trucco ma poi ce ne sono altre che smentiscono la smentita. L’equivoco delle coppie è un espediente teatrale vecchio come il mondo ma in questo caso è usato per far cambiare il piano e dire soprattutto: quanto è importante? Io ho una battuta che adoro in questo spettacolo: “forse dovrei dimostrare agli altri quanto valgo davvero? E se non valessi niente? E se nessuno potesse capire quanto valgo davvero? E se valere qualcosa non fosse importante?”

 

Tutte cose diverse, messe sullo stesso piano che si ribaltano.

A.S.: “Sono 3 modi di pensare:  è valido ognuno di questi. Tutti cerchiamo di dimostrare quanto valiamo e forse dovremo pensare un po’ meno a quello e un po’ più al resto: il tempo è sempre meno e che i rapporti sono la cosa più importante.”

 

 Polansky ha portato al cinema la pièce “il dio della carneficina”, dove vediamo anche lì due coppie in un interno borghese, anche se la vicenda è di tutt’altra natura. In questa pièce tutta la storia e le azioni derivate avvengono sempre nella scena, non ci sono dei “fuori campo”.  Sembra un po’ di vedere quei film in cui lo schermo viene riquadrato in più parti e vengono mostrate azioni contemporanee che avvengono in luoghi diversi. Questa scelta stilistica a cosa è dovuta?

Lorenzo Gioielli: “Al teatro shakespeariano, dove si ragionava assolutamente nello stesso modo. Se guardi la serie tv “24” con Kiefer Sutherland, con i riquadri, in realtà prendeva lo spunto dal teatro shakespeariano, dove nessuno usciva e nessuno entrava, stavano seduti intorno, che è il massimo della finzione ma anche della verosimiglianza. Questo consentiva a Shakespeare di sovraporre i piani che inrealtà non potevano essere sovrapposti e farli agire in contemporanea.”

 

Anche quando vi rivolgete al pubblico, proprio come il soliloquio shakespeariano.

L.G.: “Sì è veramente il punto focale dello spettacolo, un po’ in tutto il teatro che mi piacerebbe fare ma in questo spettacolo è eretto a sistema.”

 

Anche due anni fa, nella pièce “Col piede giusto” abbiamo visto due coppie che si confrontavano. Come mai questo tipo di struttura è così ricorrente? permette una maggiore stabilità dello spettacolo?

A.S.: “C’è un problema economico, soprattutto per il teatro contemporaneo prodotto privatamente e non dagli stabili, per cui si fa di necessità virtù: sai che se hai un’idea dove sono previsti 10 personaggi è molto difficile che tu riesca a metterla in scena e gli autori si devono concentrare su qualcosa che non abbia più di 4 personaggi. Questo penso che sia un po’un limite. Anche avere la possibilità di avere le coppie di questa età:  una coppia di ragazzi di 20 anni non li vendi e anche questo non è giusto.”

 

Tu dici che, quindi, le pièce sulle coppie di 40enni funzionano meglio di quanto non potrebbero funzionare quelle con coppie di 20enni?

A.S.: “Eh sì, distributivamente sicuramente. Poi sono state fatte anche cose con giovani ma in genere hanno una vita diversa, di stabili o di teatro sociale.”

 

Lo spettacolo è una commedia, però ci sono anche dei risvolti che offrono degli spunti di approfondimento: la situazione grottesca, molte volte, è una sorta di fotografia senza filtri della realtà così com’è. Quel è la realtà più essenziale che secondo voi  si svela in questa pièce? Il grottesco ti spara la realtà in faccia ma il sottotesto svela delle altre cose, due cose molto diverse.

L.G. : “L’ho scritto, lo dirigo e lo interpreto perché volevo dire che bisogna mentirsi: fondamentalmente, della verità, non gliene frega niente a nessuno e la menzogna è molto importante, senza un uso personale, anche per un uso benevolo nei confronti dell’altro. Sicuramente la verità nuda e cruda non aiuta i rapporti, su questo sono sicurissimo, e anche un ingannarsi reciproco è quasi doveroso per tenere in piedi un amore profondo.”

 

I protagonisti sono dei 40/50enni. C’è tutto un filone cinematografico e teatrale relativo alle generazioni di 30enni in crisi. Questo genere è abbastanza nuovo, ha circa una decina o ventina d’anni. Cosa ha portato gli autori a raccontare queste situazioni e stati d’animo? Secondo voi siamo tutti così precari anche a livello emotivo?

L.G.: “Secondo me ci siamo spostati sulla generazione successiva perché sono invecchiati gli autori! Siamo una generazione un pochino sfortunata: i vecchi prima di noi sono avvitati alle poltrone e alle sedie, quelli dopo di noi sono giovani e rampanti, noi ci siamo trovati un po’ in mezzo, fra gli anni 70 e internet, e quindi non abbiamo capito bene dove dovevamo andare per avere un rapporto reale con quello che facevamo.”

 

I problemi oggettivi della società, le difficoltà concrete, condizionano molto  il comportamento umano e la sensibilità verso le priorità.  Se è vero che comunque siamo in un periodo di transizione in cui il mercato del lavoro e le comunicazioni stanno cambiando moltissimo il nostro modo di viverci, noi stessi,  e di relazionarci con noi stessi e con gli altri, secondo voi, sempre rimanendo sull’analisi dei rapporti umani contestualizzati alla società, quali saranno i soggetti teatrali che potremmo vedere tra pochi anni?

L.G.: “Io credo che ci saranno tanti spettacoli sul potere inteso anche in senso allargato, non solo del potere come capitale nei confronti del lavoratore, della possibilità di farli interagire o dei conflitti che creano, dei rapporti di potere all’interno delle coppie. Una percezione del potere sempre più forte.”

 

Inteso anche come prepotenza quindi?

L.G.:  “Soprattutto.”

A.S.: “Io penso che la donna abbia proprio un ruolo nella società e che il cambiamento enorme che ci è stato negli ultimi 100 anni non si sia ancora assestato come se avessimo tolto delle cose ma non ci sono ancora altre cose che sostituiscono. Abbiamo tolto la famiglia strutturata dove la madre stava a casa a curare i figli, matriarcale o patriarcale, ma non vedo una sostituzione sociale altrettanto forte e, almeno in questo Paese deve sobbarcarsi delle cose. Prima c’era la famiglia che aiutava perché si era in tanti e c’era sempre qualcuno che ti aiutava, ora vedo tantissime mie coetanee che si trovano con figli adolescenti e genitori allettati e devono badare a uno e all’altro. Spero e mi auguro, che negli anni a venire il lavoro possa diventare diverso come concezione dove lavoriamo meno, o da casa le stesse ore, senza doversi fare 3 ore di traffico. Mi auguro che la donna riesca ad avere una situazione meno oberata di responsabilità, a liberare delle energie che sarebbero vitali , che il mondo cominciasse ad andare verso i valori femminili  come in questo spettacolo dove sono poi esaltati.”

L.G.: “Le donne sono le grandi trionfatrici di questo testo.”

A.S.: “Il modo è quello: la relazione non lo sgomitare.”

 

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