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Domenica scorsa alla live arena del Crazy Bull di Torri di Quartesolo si è tenuto il concerto di  Tony Esposito con special guest Gianluca Sciortino. Il suo tour estivo si chiama “Kalimba do Sol” e girerà per tutta l’Italia durante l’estate. Prima di lui si sono esibiti i Nabusa, che hanno presentato il loro singolo “Biancaneve”. La  band padovana ha vinto a Sanremo il Premio R.E.A. Radio Televisioni Europee Associate per il miglior progetto discografico 2012 e il Premio “Sanremo Music Awards”.

Tony Esposito è uno degli artisti italiani più apprezzati sia in Italia che all’estero: premiatissimo ovunque sia per la sua creatività che per il suo spirito di ricerca, autore di sigle e colonne sonore, ha collaborato con tutti gli artisti più importanti  e in molte occasioni è stato l’unico artista italiano ad essere invitato ad eventi internazionali di prestigio o a partecipare a progetti di interesse sociale e culturale come quello per  il Darfur,  che ha visto il coinvolgimento dei batteristi Stewart Copeland (Police), Nick Mason (Pink Floyd) e Phil Selway (Radiohead). Esposito ha anche inventato e brevettato strumenti  come il tamborder. Generalmente Esposito viene ricordato per la straordinaria popolarità del suo brano “Kalimba de luna”, canzone che fu coverizzata da artisti internazionali  in tutto il mondo  permettendone un’ulteriore diffusione e successo. Il bellissimo concerto di Tony Esposito e della sua band purtroppo è durato poco più di un’ora poichè la gestione del locale ha preferito dare maggior spazio all’intrattenimento regolarmente programmato …

 

Esposito, che si occupa da molto tempo di arte terapia, come special guest per il suo tour ha voluto Gianluca Sciortino, giovane cantautore emergente noto al pubblico per aver vissuto una terribile vicissitudine quando era piccolo: rimasto in coma irreversibile per 41 giorni dopo una improvvisa emorragia cerebrale, riuscì a risvegliarsi grazie a un’intuizione che ebbe sua mamma: la signora Sciortino gli faceva ascoltare delle cassette dove aveva inciso i rumori di casa e la musica a lui familiare e non ha mai smesso di parlargli. Gianluca si risvegliò ascoltando una canzone di Antonello Venditti. La sua storia è stata anche ispiratrice per una fiction ma lui la racconta in prima persona in un libro e in un disco che si chiamano entrambi “Un giorno di dicembre”.

 

 

Cominciamo con una domanda tecnica: quando si ascolta la musica, la maggior parte delle persone riescono a distinguere i generi  e gli strumenti principali, come il piano, la chitarra o il basso. Come mai si fa più fatica a distinguere i vari tipi di ritmo e gli strumenti a percussione? Manca una cultura relativa alla conoscenza delle varie ritmiche?

Tony Esposito: “Sì. Devi pensare che ogni Paese e ogni nazione o ogni piccolo villaggio hanno propri ritmi. Questo, naturalmente, fa in modo che ci si muova in un mare di ritmi e di suoni, bisognerebbe veramente vivere 1000 anni per conoscerli tutti, però in qualche modo tutti i ritmi del mondo si assomigliano su alcune cose e tutti i ritmi del Sud e del Sud del mondo si somigliano. Questa  la grande forza per cui si riesce a comunicare con tanti popoli di paesi diversi, perché c’è sempre un comune denominatore nel ritmo.”

 

La musica e la cultura napoletane riscuotono maggior apprezzamento all’estero che non in Italia, pensiamo anche a Noa che fa un lavoro di ricerca filologico imponente sulla musica napoletana. Questo è dato da un’autoreferenzialità degli artisti sui temi trattati, dal tipo di musica, da un pregiudizio del pubblico oppure c’è un bacino d’utenza che effettivamente cerca un tipo di musica in cui riconoscersi? Per esempi adesso, con la rivalutazione della storia del Regno delle Due Sicilie, c’è molta diffusione di musica tradizionale. Però è sempre musica che rimane abbastanza confinata al di sotto di una certa latitudine o comunque agli ex territori del Regno.

“È una questione di linguaggio perché la lingua italiana non è materia di esportazione e questo non permette alla musica di varcare molto i confini, nel senso che la lingua ispanica è parlata da più del  50% della popolazione mondiale e l’altra parte parla anglosassone.  Poi c’è la fascia mediorientale, anche loro hanno più successo di noi perché nei paesi multietnici (e noi non siamo un paese multietnico),  a causa di grandi migrazioni e fusioni si parlano molte lingue. È difficile che da noi si parlino molte lingue, gli italiani parlano italiano. In Inghilterra ci sono grandi comunità arabe o ebree, nel mondo ci sono le comunità indiane: questi ceppi etnici hanno la possibilità, in Inghilterra è successo per esempio col reggae e con i ritmi giamaicani. In Italia purtroppo la lingua è stretta, pur avendo grandi possibilità. Tu hai nominato il Regno delle Due Sicilie, dove ci sono ancora grandi melodie: il nostro sud è importantissimo sia per i ritmi che per le canzoni, Napoli ha dominato il mondo con le sue canzoni, ma in questo momento anche Napoli non riesce ad esportare perché il mercato è chiuso per la massificazione commerciale della lingua anglosassone e spagnola. È solo una questione di mercato.”

 

 

Quali sono stati gli eventi culturali che hanno permesso che la canzone napoletana classica si diffondesse in maniera tanto radicale al punto di identificarla come musica italiana? All’estero chi sente le canzoni napoletane pensa che la lingua in cui si canta sia l’italiano.

“C’è un esame anche storico: Napoli si è fatta conoscere con lo sbarco in America di Caruso e la lingua napoletana si è fatta conoscere come lingua ufficiale della canzone italiana. Bisogna dire che sicuramente la canzone napoletana è leader della canzone italiana nel mondo per una sorta di connubio tra dominazioni varie e la melodia più forte. Questo è successo nel periodo della grandi migrazioni: gli emigranti hanno portato il linguaggio napoletano  e tutti hanno riconosciuto che c’era una grande melodia dietro.  Oggi sono legati, nell’immaginario, ancora alla musica operettistica, alla classica e alla lirica, non a caso Bocelli sta avendo un grande successo, ma la musica così detta più “leggera” e altrettanto valida non ha avuto la stessa possibilità di espandersi perché il mercato internazionale si è chiuso a quello che è il mercato italiano.”

 

Lei parla spesso di sinestesie tra ritmo e colori e personalmente ho sempre cercato di capire come si può tradurre la musica in immagini ma spesso è molto più facile per i musicisti tradurre le immagini in musica. Generalmente la timbrica e la tonalità sono le parti della musica più associabili ai colori: come può avvenire lo stesso per il ritmo?

“Io posso essere un esempio perché vengo dall’accademia d’arte e venendo dalla pittura per me è stato semplice scegliere gli strumenti più colorati, il mio imprinting è stato quello pittorico del colore. Poi c’è stato una sorta di transfert dalla pittura alla musica e io oggi la musica la vedo a colori, nel senso che quando compongo scelgo sempre dei colori, i miei strumenti devono avere delle tonalità precise e scelgo in base a delle tonalità. Io trovo che ci sia proprio un’assonanza fortissima  anche nei termini.  Diciamo che l’immagine pittorica restituisce alla musica, che di per sé è astratta e non materica, quello che è il colore. Negli anni ‘60 sono stati fatti degli esperimenti in cui autori contemporanei hanno provato a riscrivere lo spartito colorandolo, ed è geniale perché nella musica, dalla classica al jazz alla leggera, le note sono nere sul pentagramma bianco ma non possono mai esprimere l’intensità. Se tu una nota la colori di rosso vuol dire che la devi suonare con maggior calore, se l’annoti celeste con un senso di pace.”

 

Beh anche “maggiore” potrebbe essere colori caldi e “minore” colori freddi.

“Bravissima: basta dare il La e una persona riesce a interpretare. Io credo che l’interpretazione della musica scritta sia ancora a uno stadio primitivo.”

 

Ieri sera al Teatro Olimpico si è tenuto un concerto di musica classica dove sono state eseguite “Le 4 stagioni” di Vivaldi. Come avviene per tutta la musica a programma, ci si accorge come la musica descriva esattamente le scene, i versi degli animali o i rumori nell’ambiente, ma penso anche alla VI  sinfonia di Beethoven, “Pierino e il lupo” di Prokofiev o anche a “Il lago dei cigni” se vogliamo. È possibile una musica a programma anche per le percussioni?

“È possibilissimo perché le percussioni, al pari di qualsiasi strumento, si sono evolute. La terra madre delle percussioni è sicuramente l’Africa, le  loro composizioni sono così complesse come da noi la musica classica; basta andare in Africa e accorgersene: anche un bravo musicista esperto si troverà perso in mezzo a un gruppo di africani che hanno un linguaggio così intenso e così difficile. Le percussioni sono state considerate, in maniera riduttiva, un po’ “il sale nella minestra” delle orchestre: le percussioni vivono una loro autonomia molto forte. È solo una questione di parametri: se nella percussione le persone riescono a capire quanta poesia c’è, quanta dedizione, ma soprattutto quanta creatività, si troverà al pari di una canzone, una voce o un violoncello. Io, per altro, in questo momento sto proprio collaborando con la musica classica.”

 

Infatti: con l’Orchestra di Santa Cecilia. Di cosa si tratta?

“Con l’Orchestra di Santa Cecilia sto ricostruendo, in maniera molto creativa e libera ma con grande rispetto, le musiche di Vivaldi, Bach, Monteverdi, Beethoven e sto cercando di mettere quello che nella mia immaginazione c’è sempre stato: il ritmo. Secondo me queste musiche sono state concepite con ritmo ma nel periodo in cui sono vissuti, il ritmo era considerato troppo pagano per essere ammesso a corte dai potenti.”

 

Beh anche ai tempi di Mozart: tutte le turcherie, se ne parla spesso, erano considerate delle musiche molto rumorose.

“Esatto. Poi c’era il clero che impediva tutto questo che era considerato sacrilego perché il ritmo aveva a che fare con il movimento del corpo.”

 

Lei collabora con moltissimi artisti a livello mondiale, come sta accadendo per questo progetto per il Darfur, è da sempre un ricercatore, anche nell’ambito della costruzione di strumenti, ed è tuttora un artista in ricerca.  Ho notato che lei diluisce nel tempo la pubblicazione di album inediti e spesso il pubblico non è molto indulgente nei confronti degli artisti che interpongono del tempo tra le varie uscite dei dischi. Lei come vede questo attrito che si viene a creare tra artisti e pubblico? Che rapporto ha col suo pubblico?

“Io ho un valore guida, nel senso che mi sono trovato musicista per una mia esigenza interiore d’espressione. io dico sempre che sono un falso autistico: una persona cresciuta in solitudine con una propria realtà di fantasia. Attraverso la musica riesco ad esprimermi bene e a comunicare con il mondo esterno, per cui è naturale che io non stia troppo dietro a quelli che sono gli andamenti del mercato. Anche perché fortunatamente, grazie, però, ai momenti in cui sono stato dietro a questi andamenti mi sono aperto al mercato internazionale e laddove non trovo ispirazione per comporre o fare un disco, io vado in giro per il mondo in tournèe e questo per me è importante. Io faccio i dischi solo quando riesco a farli e, sono sincero, non sempre sono capace di farli, delle volte non mi viene niente per anni!”

 

Beh ma poi la “vena” ritorna: io dico sempre che l’ispirazione è una tegola che ti cade sulla testa.

“Giustissimo, sono d’accordo.”

 

Lei si occupa anche di arte terapia. È in questo frangente che è nata la collaborazione con Gianluca Sciortino?

“Sì. Attraverso il ritmo, con l’aiuto di grandi maestri come Gianluigi Di Franco, un grande musico terapeuta purtroppo scomparso, ho scoperto che la musica è soprattutto terapia, cura per l’anima e per il corpo. La testimonianza di un ragazzo che ha avuto una disgrazia molto forte, risvegliato dal coma grazie alla musica che ha stimolato i suoi centri nervosi, è la testimonianza,  sul mio palco, della sacralità della musica a scopo terapeutico.”

Gianluca, la tua storia ce l’hai ricordata stasera sul palco: ti svegliasti dal coma grazie alla voce di tua madre, alla musica di Antonello Venditti e a delle cassette che tua madre ti fece ascoltare sulle quali lei aveva registrato dei rumori a te familiari. Fu un’iniziativa di tua mamma, non un suggerimento dei medici; la musica e i rumori ti hanno riportato alla vita. Oggi ci sono dei generi musicali che prediligi?

Gianluca Sciortino: “Attualmente a livello compositivo ascolto molto le ballad di Bob Dylan, Leonard Cohen,  Dire Straits e Mark Knopfeler, qualcosa di Billy Idol. Diciamo un rock morbido, molto stile americano.”

 

Quali sono gli elementi della musica che nella tua esperienza personale, magari confrontandoti con medici o ricercatori e artisti come Tony Esposito, hai individuato come più efficaci per curare e coadiuvare un processo riabilitativo post traumatico?

“Io penso che la musica abbia un potere proprio rigenerante, io sono l’esempio. A me avevano diagnosticato un coma irreversibile: la musica ha un potere rigenerante, unita all’amore dei familiari logicamente. Nel mio caso la musica di Antonello Venditti ma non perché era la musica fine a se stessa ma perché mi ha riaffiorato i ricordi della mia infanzia: seguendo il lavoro di mio padre manager, era nella mia quotidianità Antonello Venditti ma sarebbe successo con Tony Esposito o altri, nella mia vita di prima. A maggior ragione la musica arriva direttamente al cuore senza dei medianti razionali, la musica è importante proprio in quanto musicoterapia: ti fa rinascere e rivivere.”

 

Tu ti sei orientato verso il pop-rock cantautorale. Ci sono altre aree che ti piacerebbe esplorare?

“Certo! A me piace molto confrontarmi con altri generi. Con Tony è nata questa bella iniziativa del tour con lui perché siamo accomunati dal contingente della musicoterapia,  della musica non vista come un business commerciale e consumistico bensì, come ho detto prima, rigenerante. E poi mi piace unire la mia musica pop e ballad folk alle sonorità etniche e partenopee di Tony  Esposito: è come esplorare un mondo tutto da scoprire.”

 

 

In conclusione: oggi molta gente si lancia nel mondo della musica cercando di emergere, e magari non si pensa che forse è più importante saper nuotare e avere l’energia per poterlo fare controcorrente. Qual è la vostra visione di successo?

G.S.: “La mia visione di successo  è che prima di tutto deve piacere a me quello che compongo: io penso sempre che per divertire il pubblico prima di tutto dobbiamo essere noi artisti a divertirci in primis. Poi, sinceramente, in piccolo e in grande sto già avendo delle soddisfazioni: il semplice fatto di arrivare al cuore della gente con la mia musica, di poter emozionare, che la gente viene da me e mi dice che gli è venuta la pelle d’oca, io che ho conosciuto momenti della mia esistenza in cui mi sentivo incompreso e pensavo che il mondo non mi capisse e non mi volesse più, per me già il fatto di sentirmi compreso e ancor più apprezzato da tanta gente che applaude le mie canzoni è già una grande vittoria. Poi io non è che faccio musica per i riscontri: ci metto il cuore l’anima e la passione, mi confronto con grandi artisti come Tony, che possano essere 20, 2000 o 20mila, per me  l’importante è rimanere nel cuore della gente, tutto qui.”

T.E.: “La mia visione di successo non si discosta molto da quella di Gianluca perché non c’è una regola su come costruire il successo: non resta che affidarci al nostro buon istinto e alle nostre buone intenzioni. Se non altro se sbagliamo siamo contenti con noi stessi. Se invece facciamo qualcosa di fittizio per raggiungere il successo e non lo raggiungiamo, ci troviamo fuori da noi stessi. Io ormai sono un musicista di esperienza ed è normale che io possa essere stimolato da tante cose che colgo e che possono funzionare, questa è la mia esperienza di musicista adulto e naturalmente metto questi elementi nella mia musica, perché se ascolto una cosa che funziona e che mi piace la faccio mia. Però anche io rimango in eterno quel ragazzo selvatico e musicista perché con la musica si rimane degli eterni ragazzi: rimango sempre uguale, innamorato della musica e sul palco mi dimentico tutto, così come anche in studio di registrazione mi dimentico tutto e mando avanti il cuore.”

 

 

“Kalimba de luna” nella versione di Dalidà

 

concerto di Vicenza

 

prossime date

 

16 giugno 2012 anfiteatro romano  di Alife ( Caserta) ore 21.30

22 giugno 2012 Catrocielo (Frosinone) ore 21.30

 

 

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