Lo spettacolo natalizio per eccellenza, a Napoli, è sicuramente “La Cantata dei pastori”, opera che si tramanda praticamente interrottamente da quando andò in scena per la prima volta alla fine del ‘600. Scritta da Andrea Perrucci che la firmò con il nome di Casimiro Ruggiero Ogone intitolandola “Il Vero Lume tra le Ombre, ovvero la Spelonca Arricchita per la nascita dl Verbo Umanato”, l’opera è una rappresentazione  sacra, in versi, della Natività. Nel corso dei secoli è stata rimaneggiata molto, adattandosi alle esigenze di un pubblico popolare e non erudito, poiché le rappresentazioni sacre, anticamente, erano scritte da ecclesiastici e destinate ad un pubblico che ne capisse il linguaggio.

Ciò che caratterizza questa opera è come sia rappresentativa di un sensibilità espressiva  tipicamente napoletana che mescola la raffinatezza del linguaggio in versi con le espressioni idiomatiche popolari a volte  anche corrosive che, pur convivendo nello stesso contesto, non stridono tra loro arricchendosi vicendevolmente.

Il centro di tutto è il presepio come il  simbolo di mistero di fede ma anche di tradizione che identifica una civiltà e una popolazione e le sue usanze che vengono vissute con estremo rispetto, tanto che Peppe Barra nelle note di regia dello spettacolo rappresentato al Teatro Trianon Viviani in questi giorni, parlando del rituale legato all’allestimento del presepio nella sua casa d’infanzia, dice: “Nelle usanze non ci sono spiegazioni. Chi cerca in esse la logica è destinato a rimanere deluso. Bisogna solamente viverle, sognarle, e lasciare che ti parlino con il muto linguaggio della poesia e dell’amore.

Negli ultimi decenni la Cantata è stata ripresa da Roberto De Simone e dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare con Peppe Barra e la madre Concetta. Oggi la Cantata dei pastori viene rappresentata con musiche dal vivo scritte da Roberto De Simone, Lino Cannavacciuolo, Paolo Del Vecchio e Luca Urciolo ( questi ultimi due presenti anche nell’organico orchestrale rispettivamente come chitarra/mandolino e direttore d’orchestra), le scene di Emanuele Luzzati e la regia del Maestro Peppe Barra.

Ho incontrato il M° Barra e nell’ intervista che segue ho cercato di capire alcuni punti del suo lavoro di attore e musicista apprezzato in tutto il mondo per la sua instancabile ricerca.

 

Oggi al Trianon Viviani ultima replica

 

 

 

Questo spettacolo  ha una storia antichissima perché lo scrittore, Andrea Perrucci, era librettista  al teatro San Bartolomeo.

Peppe Barra: “Sì, era un palermitano, napoletano d’adozione ed aveva scritto tante cose, tra le altre questa Sacra Rappresentazione  datata  1698 commissionata all’abate Perrucci, Ruggero Ocone,  dai gesuiti che volevano distogliere i napoletani dagli spettacoli blasfemi che si facevano durante le feste di Natale.”

 

Nel ‘600 c’era un fiorire del teatro di stato: in Francia con il Re Sole ma anche in Spagna.  A Napoli com’era la situazione?

 “Il teatro di stato  subentra dopo: nel ‘600 c’era il vicereame non c’erano ancora i Borbone, Carlo III arrivò nel ‘34, per cui con l’avvento dell’incoronazione di Carlo III e la costruzione del San Carlo nel 1737 che si costruì per il genetliaco del re allora cominciarono a fiorire tanti altri teatri ma anche Cimarosa, Pergolesi eccetera.”

 

tra l’altro  “La serva padrona” di Pergolesi fu fatta per prima al san Bartolomeo. Questo teatro era più importante  e poi ci fu il San Carlo.

“C’era il Teatro del Fondaco, il Teatro Nuovo che non c’è più e fu bruciato, c’erano tantissimi teatri.”

Quest’opera è vista oggi come una commedia ma  fondamentalmente è un’opera sacra.

“No fondamentalmente! È scritta proprio: Sacra Rappresentazione. L’unica superstite in tutta Europa, l’unica che si rappresenta ancora!”

 

 In Spagna pure ce n’erano tantissime, era un genere radicatissimo.

“Non ne fanno più.”

 

 Oggi si parla di melting pot, globalizzazione e glocalizzazione: questo tipo di spettacolo ha una esportabilità?

 “È stato  già esportato e rappresentato all’estero: nel’89 la portammo in giro per l’Europa, in Francia, Inghilterra, Paesi Baschi, Svizzera e Spagna ed ebbe un successo incredibile dappertutto.”

 

E l’ostacolo linguistico?

“Non ci fu bisogno nemmeno delle  didascalie. Io portai il Don Chisciotte e  il Don Giovanni in Francia, uno nell’84 e nel 2001, con Maurizio Scaparro, in Francia al Teatro dei Champs Elisées e il Don Chisciotte ad Almagro proprio nel teatrino costruito ed inaugurato da Cervantes, ma La cantata non ha mai avuto bisogno delle didascalie mentre in questi due spettacoli le avevamo.”

 

 Dal punto di vista musicale lei è uno dei capisaldi a livello internazionale  della musica etnica partenopea e lei fu chiamato anche da John Turturro per fare questo film, “Passione”, con musiche stupende, che era una rivisitazione della tradizione napoletana perché abbiamo visto anche Raiz degli Almamegretta, la ex vocalist di Eugenio Bennato, M’barka Ben Taleb, che è di origine magrebina; lei ha cantato con uno dei protagonisti de i Sopranos, Max Casella, questa canzone, “La guerra”, che poi è la “Tammuriata Nera” che lei ha rielaborato. Quale è stata la genesi?

“Diciamo che forse, a livello inconscio, E.A. Mario e Nicolardi scrissero questo testo con l’intenzione di parodiare e ironizzare su una tragedia che era quella del’occupazione dei soldati neri e degli stupri che succedevano, poi nascevano questi bambini neri che il popolo napoletano chiamava con i nomi tradizionali, allora io ho pensato che comunque era una canzone drammatica e non ho fatto altro che reinterpretarla e riscriverla psicologicamente e poi è diventata quello che è diventata.”

 

C’è la musica mediterrannea  e poi c’è la musica napoletana, gli spagnoli che hanno la loro tradizione, i greci la loro, i balcanici pure, tra l’altro  la loro sfocia anche nell’yiddish. Però, almeno in Nord Italia, mi sembra che sia più conosciuto un altro genere di musica: per esempio Goran Bregovich è conosciutissimo e tantissimi vanno a vederlo, mentre la musica napoletana….

“Perché purtroppo è stata un po’ bistrattata attraverso i neomelodici: non hanno saputo comprendere, sia quelli che hanno portato i neomelodici avanti con un discorso popolare e invece hanno un po’ contaminato e c’è stata un po’ un’ambiguità nel rappresentare la canzone  napoletana. Perché la canzone napoletana si divide in 3 momenti: il neomelodico, che ha avuto il suo momento; non è dire che le canzoni neomelodiche sono brutte però bisogna fare ben attenzione a scegliere la canzone da ascoltare perché, chiaramente, con il neomelodico tu hai un’altra visione della canzone napoletana. Poi ci  sta la canzone popolaresca che è quella che conosciamo tutti, che è diventata famosa e che ha fatto conoscere la canzone napoletana nel mondo: ‘O sole mio, Torna a Surriento e tutta questa fascia qua;  e poi c’è l’etnia, che è una fascia  di cui si sono occupati  studiosi, antropologi ed etnomusicologi come Roberto De Simone, Alan Lomax, Diego Carpitella, Annabella Rossi, che hanno studiato e analizzato e certamente non hanno analizzato la canzone neomelodica.”

 

 Che è comunque un fenomeno molto recente.

“Molto recente e popolare: ed è sbagliatissimo  dire che la canzone neomelodica non è altro che la rappresentazione popolare della canzone napoletana oggi. Non è vero, assolutamente non è vero.”

 

Perché??

“Perché il neomelodico è scritto, la canzone popolare sboccia dal cuore.”

È una tradizione orale.

“Ecco. La canzone neomelodica è scritta per appagare un narcisismo canoro che abbiamo tutti noi  nel DNA napoletano, perché il neomelodico si distingue da un cantante “vero”, con tutto il rispetto per i neomelodici, dai melismi troppo elaborati troppo voluti, perché il melisma, questi vibrati e ghirigori della voce, è in tutta la fascia mediterranea, quando se ne fanno troppi allora diventa solamente un appagamento narcisistico.”

Però sono bravi…

“Tutti i napoletani sono bravi a cantare credo che non ce ne siano di napoletani stonati o comunque ce ne sono pochi perché la maggior parte hanno nel DNA il dono di saper comunicare con la voce.”

 

 Lei fa queste ricerche incredibili e John Turturro, dicevamo, si è interessato a questa ricerca sulla musica e l’etnomusicologia. Al Nord, o almeno dove sto io, il film è stato tenuto un paio di giorni infrasettimanali, qui a Napoli invece è stato il caso cinematografico dell’anno, è  piaciuto  tantissimo perché i napoletani, per la prima volta, si sono riconosciuti nel lavoro di un artista straniero. A Napoli c’è un forte protezionismo contro gli artisti stranieri e invece questa volta i napoletani si sono riconosciuti, come mai?

 “Perché i napoletani sono pigri, fondamentalmente. Ci voleva Turturro dall’America per scoprire la bellezza e l’importanza di un mondo musicale così importante e così intenso come quello napoletano. Ci voleva la sensibilità di un artista non napoletano.”

 

 Però Turturro aveva fatto anche “Questi fantasmi” tradotto in inglese…

 “Sempre per questo grande onore che lui ha!”

 

 Però non è stato accolto  come il film.

“Ma il film ha un altro linguaggio! Ci sono 3 linguaggi: quello teatrale, quello cinematografico e quello televisivo. Bisogna saper scegliere i canali.”

 

 

 

sito del teatro trianon

http://www.teatrotrianon.org/index.htm

 

sito ufficiale del M° Peppe Barra

http://peppebarra.altervista.org/

 

 

trailer dello spettacolo

 

“La Guerra”, riscrittura de “La Tammuriata nera” ad opera di Peppe Barra nella sua interpretazione  per il film di John Turturro

 

dallo stesso film, Peppe Barra interpreta la canzone “Don Raffaè” di  Fabrizio De Andrè

 

 

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