03 leonora - isabel russinova

Isabel Russinova è stata protagonista allo Spazio Bixio di Vicenza, questo weekend, con il monologo “Leonora” su Eleonora d’Arborea. Personaggio storico fondamentale per la Sardegna occidentale e non solo, Eleonora d’Arborea visse alla fine del Medioevo e fu una sovrana moderna, idealista  e combattiva, le sue azioni hanno lasciato un segno profondo. Presentata per la stagione di prosa “Teatro Elemento” del Bixio organizzata da Theama Teatro, la breve pièce si propone come un viaggio nell’animo di Eleonora che viene immaginata e resa viva attraverso il racconto di ricordi anche mai vissuti, come la dominazione catalana, avvenuta in epoca successiva. Un monologo molto appassionato ma al tempo stesso estremamente introspettivo e spirituale, reso più intenso e coinvolgente dall’assoluta mancanza di scenografia, da luci estremamente sature e scure, che sottolineano le stoffe del costume e si riflettono sul viso e i capelli chiari della Russinova. La regia di Manuel Giliberti rende tangibile al pubblico la sensazione che questa donna sia ancora viva e con noi.

 

Lei ha cominciato a interessarsi alla figura di Eleonora d’Arborea negli anni ’80, durante un viaggio di lavoro in Sardegna.  Come ci si è imbattuta?

“All’epoca facevo un programma che si chiama “Linea Verde” e tutte le settimane facevamo dei servizi in giro per l’Italia. In quell’occasione ero andata in Sardegna nella parte occidentale, a Oristano, e mi incuriosii riguardo a questo personaggio: era il periodo in cui si preparava la Sartiglia, un appuntamento molto sentito in Sardegna, una “giostra” coi cavalli molto pericolosa che nasce proprio in seguito al mito di Eleonora. Non c’erano molte notizie su di lei e io cercavo e compravo tutto quello che trovavo. Nilde Iotti, che era una studiosa del personaggio, mi diede delle dispense. Per anni ho cullato il desiderio di far diventare questo personaggio un progetto che potesse divulgarne il mito. Lo proposi a molti produttori ma senza successo. Quando alla fine degli anni ’90 ho deciso di fondare una società di produzione, tra i primi progetti sui quali ho cercato di concentrare le mie  energie, è stato proprio quello di Eleonora. Questo monologo è diventato un momento di teatro nel 2005 e da allora continuo a proporlo ovunque. Trovo sempre un grande entusiasmo, sia per me per farlo, ma anche per le altre persone che sono interessate e che la conoscono. È un bellissimo monumento di figura femminile, penso proprio che sia utile perché ti fa capire che la donna non si deve arrendere mai e trovare sempre la forza che tutte noi abbiamo, per portare avanti la propria vita a piene mani.”

 

È vissuta alla fine del Medioevo e nel monologo che lei presenta, si riconosce il contesto storico esclusivamente dal costume: potrebbe essere un personaggio più recente o addirittura contemporaneo, se ascoltiamo ciò che lei dice riguardo ai suoi ideali.

“Partendo dal fatto che la Storia è una grande trottola e le cose che avvengono sono sempre mosse più o meno dagli stessi perché: cambiano i costumi e i contesti storici ma è sempre l’uomo al centro di tutto, con le sue debolezze, le meschinità, bene e male che si rincorrono.  Volutamente questo personaggio si muove, parla e pensa come potremmo farlo noi. È visivamente proiettata nella dimensione in cui lei è vissuta veramente, proprio per sottolineare questo aspetto, cioè che le cose del mondo continuano a ripetersi.”

 

Eleonora è una donna granitica, sorretta costantemente dai suoi ideali. Quali possono essere le fragilità di un personaggio così determinato?

“Sicuramente i sentimenti.  Lei delle volte si interroga e dice che l’amore può spingere all’odio: i sentimenti ti rendono più fragile ma allo stesso tempo ti danno la forza di affrontare ogni cosa. C’è questo grande controsenso, figlio dell’equilibrio, perché da un lato ti senti debole e vulnerabile, ti possono ferire e lasci scoperto il fianco per l’amore di un figlio o di un uomo, dall’altra parte c’è la ragione per cui sei disposta a fare qualsiasi cosa per cui anche a porgere il fianco.

 

Quando racconta del figlio, in scena lei piange davvero. Eppure mantiene il controllo della performance.  Come si riesce a mantenere un certo distacco pur immedesimandosi così tanto dentro una vicenda?

“Perché forse io sono davvero in simbiosi con questo personaggio, è una cosa curiosa degli attori, la parte schizofrenica: entri ed esci ma puoi farlo solo se ce l’hai dentro, un po’ come quando entri ed esci da te stesso.”

 

Nel monologo Eleonora dice di voler dare dignità al popolo sardo, dominato da popoli lontani che non conoscono la gente che dominano. La dominazione catalana è però effettivamente cominciata dopo la morte di Eleonora. Sembra quasi che lei abbia voluto estenderne la vita tramite i suoi ideali. Pare un po’ sospesa nel tempo, questa Eleonora che lei descrive.

“Ed è così: lei diventa lo spunto per raccontare l’ideale inteso come concetto sospeso. Credo che tutti noi, in ogni momento, non dobbiamo mai abbandonare i nostri ideali, in tutte le epoche, perché l’ideale ti purifica e ti rende nobile.”

 

Nella pièce lei fa anche riferimento alla Carta de Logu, questa legislazione civile e penale che Eleonora promulgò e che regola la legalità, i diritti delle donne, lo stato di diritto, che è rimasta in vigore fino all’800, tra l’altro documento molto importante tutt’oggi per i linguisti perché è scritto in lingua sarda. Eleonora delineò una prospettiva di pensiero e d’azione preclusa alle donne dell’epoca, come ci riuscì?

“Il percorso  di Eleonora è stato tracciato, anche se non portato a termine, dal padre. Nel Medioevo ci sono molte figure di donne luminose: la donna era un punto di riferimento molto preciso, il Medioevo poi è sicuramente pieno di grandi contraddizioni ma anche di grande fermento. Eleonora conosceva il mondo, aveva viaggiato, era stata in Spagna e a Genova, aveva visto e conosciuto, aveva una visione illuminata e come tutte le persone che sanno e conoscono, possono aiutare quelli che sono vittime dell’ottusità degli altri a liberarsi. Anche questo è molto importante perché la cultura, intesa come conoscenza, è molto importante per progredire. Quando non c’è cultura si torna indietro, questo è sempre stato e sempre sarà.”

 

Lei ha fatto anche una ricerca iconografica?

“Sì, ho trovato diverse cose che naturalmente nel testo non ci sono, ma è molto interessante perché ci sono diverse scuole di pensiero: una parte di opinione minimizza la sua figura, un continuo contrastare. Io penso che dal momento in cui, ancora adesso, ne parliamo e subiamo il suo fascino è perché è stata appunto una figura molto luminosa. Poi ha dovuto sopportare tutti quegli avvenimenti che sicuramente con gli anni e coi secoli hanno impolverato e infangato la figura femminile e volutamente l’hanno impoverita. All’inizio del’900 invece l’hanno rivalutata ed è cresciuto il mito. Io penso che per l’essere umano sia molto importante avere i propri miti, soprattutto se sono come questo, che credo sia un bene che continui a vivere come tale, per essere un esempio di persona con tutte queste cose dentro. Lei dice: “in ogni donna c’è un uomo e in ogni uomo c’è una donna”, un individuo, donna soltanto perchè offesa e messa in una posizione di debolezza. Ecco perché deve essere aiutata ad avere il suo posto tra le persone ma dal momento in cui è persona, è persona e basta.”

 

Lei ha detto che nelle sue ricerche ha notato come la figura di Eleonora sia ancora molto presente nella cultura sarda, che cosa ha scoperto  e come mai è così poco conosciuta al di fuori dei luoghi d’origine?

“Me lo sto chiedendo anche io, perché Eleonora d’Arborea è un grande personaggio universale per tutte le ragioni che abbiamo detto. In Sardegna è molto sentita e mitizzata.”

 

Ma come viene vissuta? Ci sono delle ricorrenze?

“Si sì, ci sono, a parte a Oristano, non da molto tempo però. Ci sono diverse associazioni, rassegne e cose che la ricordano, però credo che sia uno di quei personaggi che deve prendere il suo posto d’onore nel mondo.”

 

Lei è direttore artistico della società di produzione Ars Millennia, dove vi occupate molto di teatro contemporaneo anche in lingua originale, musica, produzioni cinematografiche. 

“Da poco sono anche direttore artistico della stagione di prosa del Teatro Rendano di Cosenza, uno dei 22 teatri di tradizione. Costruendo il cartellone, proprio per quest’anno, ho cercato di fare questo percorso tutto al femminile.”

 

Les Femmes d’Or?

“No, quella è un’altra rassegna che ho, ma sempre con lo stesso intendimento, cioè raccontare la donna come persona, proprio per sottolineare questo aspetto. Poi  la lingua originale: a me piace molto perché la lingua è secondo me alla base dell’evoluzione dell’uomo.”

 

Quindi anche se non vengono capiti?

“Si sì: le lingue del mondo, come i dialetti, che sono delle lingue, sono una comunicazione importante, la memoria di ogni cosa. È interessante proporre queste cose e ho visto che proponendo anche dei pezzi recitati molto bene, in lingua originale, si riesce ad andare oltre e a percepire il senso delle cose anche se non si conoscono queste lingue.”

 

Che tipo di riscontro avete da parte del vostro pubblico? Secondo lei la gente negli ultimi anni ha cambiato aspettative nei confronti delle proposte teatrali e culturali?

“ Credo che il pubblico sia molto più attento perché la televisione sta diventando sempre più un elettrodomestico e quindi allontana l’interesse ma riempie in eccedenza di contenuti vari senza stimolare la curiosità, la conoscenza e la voglia di assaporare le cose. Credo che nonostante la crisi noi vivremo un momento di  grande luminosità, proprio perché i giovani hanno bisogno di conoscere, di costruire: nasceranno altri linguaggi, altre cose e credo che potrebbe essere l’inizio di un momento molto fertile.”

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